18 gennaio 2012

Hungarian Rhapsody n° 2

Riprendo il manubrio della mia baita affrescata di nero, vediamo se mi ricordo come si manovra.
Scrivere dovrebbe essere un momento divertente, ma sempre più spesso assume quel bisogno consolatorio insopportabile. Non mi piace così. Mi occorre un giorno nuovo, un tasto Exit come nei videogiochi per ricominciare una nuova partita. Spesso mi perdo nei miei vuoti, passo giornate facendo passeggiate inconcludenti, canticchiando canzoni dolorose, con goduria.
Non amo il dispiacere, ma adoro dargli un senso creativo.
Perchè è così difficile capirlo? Perchè non si può essere serenamente infelici? In questi giorni ho parlato tanto e con persone diverse del rapporto individuo-gruppo, del modo di diluirsi nella massa. Non lo trovo affatto deplorevole, anche perchè credo che nell'individuo ci sia già il seme della massa, l'uomo ha nel D.n.a. l'appartenenza a qualcosa di universale, ma prorpio per questo non c'è nulla di insensato nell'isolarsi, nel voler essere controcorrente. É tutto calcolato. Anche essere controcorrente ormai è un fenomeno di massa.
Ma non c'è nulla di grave nell'essere pessimisti.
La rassegnazione non può solo che creare gioia nello sbaglio, e questo non accade agli ottimisti, che se sbagliano si disperano. Chiaramente avrei la nausea se tutto il mondo fosse abitato da nichilisti, ma è destino che sia destinato a prendere le parti più denigrate. Difendo i perdenti. É la mia natura.
Vi regalo uno dei pezzi più famosi di Franz Liszt, uno dei miei autori preferiti. Se non la conoscevate fate schifo, ma vi basterà fingere di saperla già, come fanno gli intellettuali!

Nessun commento:

Posta un commento