18 febbraio 2013

De Ciotto

Ero solito approfittare di questo giorno per ricordare l'onore che provo a condividere il giorno della nascita con Fabrizio De Andrè. Non credo nell'Astrologia (e nemmeno nell'astronomia così non devo ricordarmi che significano due cose diverse) però ammetto che trovo negli Acquario una buona predisposizione all'ascolto, una certa dose di follia affrontata con pacatezza, insomma una tendenza ad andarci d'accordo. Attribuisco questo al fatto che siamo nati (prindipalmente) in un mese freddo, ostile, deturpato perfino di due giorni, ma anche colorato dal Carnevale, i dolci e la musica. Ed il compleanno, appunto: mi son chiesto spesso come festeggiava Fabrizio bambino, nella sua infazia campagnola.
Traccio due righe anche per il troppo spesso da me dimenticato Augusto Daolio. Anche lui un Diciottino dell'Acquario, voce bellissima, mi ricordo  le varie musicassette del mio babbo, conservate sicuramente per ricordarsi del suo periodo ribelle. Ma Augusto l'ho ammirato molto di più per un'altra sua passione: la pittura.
E questo mi fa da intro al terzo soggetto, che ormai da qualche anno sto timidamente ma piacevolmente affrontando, sfogliando e che di recente il caso mi ha fatto notare che anche lui vide la luce il 18 Febbraio. Ma (come vola il tempo) del 1404.
Sto parlando di Leon Battista Alberti. Non spendo spazio ad elencare il curriculum, diciamo solo che insieme a Brunelleschi è la figura che ha cambiato il modo di fare Arte, innescando il sistema da cui dipendono tutti quelli che vengono dopo. Sì, anch'io mi sento vecchio ad esaltare queste estrapolazioni da biblioteca piuttosto che eroi musicali o campioni da stadio (auguri Roby!). Ma come di De Andrè mi immaginavo le torte e i palloncini infantili, dell'Alberti mi chiedo cosa facesse nei freddi febbraio ora a Geneva, ora a Venezia. Magari sognando la sua patria Firenze, che non vide prima dei 30 anni, se non nei resoconti di chi ci era stato. Chissà cosa porta un ragazzino ad innamorarsi di quello che oggi a me sembra così scontato trovare appagamento e ristoro, chissà cosa vedeva nel suo mondo che ancora doveva produrre quel mazzetto di bellezze che profumavano pittura.
Il suo simbolo era un Occhio alato e già questo basterebbe ad immedesimarmi, per quel modo curioso ed ossessivo nell'osservare tutto, nel voler capire la meccanica dell'anima. Mi fermo qui, anche perchè lo conosco così poco in quello che ha lasciato, figuratevi in quello che è stato.
"La Morte mai fu inutile a chi mal vive, e mai dannosa a chi visse bene."

Nessun commento:

Posta un commento